Solerte si recava al vigneto di buon mattino, per adempiere al lavoro nei campi.
Già quando la mano ruvida aveva aperto il portoncino di casa per uscire, l’uomo era stato avvolto da un alone di fredda nebbia di febbraio, come preludio all’ostico contesto climatico che si apprestava a sfidare. Indossava già la sua armatura: la tuta da lavoro in jeans blu, i guanti di cuoio gialli, un berretto con il paraorecchie verde e una cinta legata in vita con a destra il codèr (il corno di bue che conteneva la forbice da potatura) e a sinistra una piccola mazzetta di fassìne.
Neppure il grigiore diffuso e la rugiada che lo insidiava dal basso riuscivano ad arrestare il suo incedere attraverso la bellussèra dove, una volta raggiunta la postazione amica sopra il “carèt da zarpìr”, iniziava la potatura da uno dei quattro raggi che si univano al centro.
Qui, dopo aver reciso tutto il grosso delle ramificazioni inutili, le mani si muovevano velocemente in quella che era la manovra di legatura all’ingiù dei capi a frutto con i venchi.
A volte, i giunchi più lunghi venivano usati per più legature e per non rimetterli nella mazzetta li teneva tra i denti.
E così andava avanti nella potatura, raggio dopo raggio, mentre in sottofondo si udiva un chiacchierio proveniente dal “carèt da zarpìr”: era una radio che lui aveva installato ed era solito accendere per fargli compagnia.
Ma cosa significa il termine dialettale “zarpìr le vide” e di cosa si tratta?
La traduzione letterale è “potare le viti” e si riferisce alla potatura invernale (detta anche potatura secca).
Si tratta di una lavorazione effettuata nel periodo compreso dalla caduta delle foglie alla ripresa vegetativa e consiste nell’intervenire sui tralci, che sono i rami con 1 anno di età.
Nella potatura viene recisa una grossa percentuale del legno del vigneto, e si effettua di fatto una scelta, soggettiva ad opera di colui che effettua il lavoro; ma in linea di massima si preferisce portare avanti nella coltivazione i tralci di media grandezza con gemme ben formate, che a seconda della lunghezza designata prenderanno il nome di ‘capi a frutto’ o ‘speroni’.
Questa delicata operazione mira a molteplici obiettivi: innanzitutto permette un controllo sull’equilibrio vegeto-produttivo della vite. Con la potatura viene data al vigneto una forma ben precisa, tale da proporzionare scarse o eccessive produzioni che dipendono dalla zona di coltivazione e dal vitigno.
Inoltre quest’operazione inciderà anche sulla dimensione dei grappoli, piuttosto che nel colore e nel sapore degli acini e quindi sulla qualità del vino: non a caso è una delle lavorazioni più delicate sul vigneto.