Lui era in sella al trattore, col suo cappello di paglia, e percorreva il vigneto conseguendo uno dietro l’altro tutti i filari come un ago che tesse la tela entrando e uscendo per ogni punto: una distesa verde chiaro prendeva il posto dell’agreste prato fiorito.
Il “tarùc” stava macinando tutta l’erba che cresceva alta dopo due giornate di pioggia e due di sole – aveva già sviluppato due spanne. Il rumore del trattore, intenso per lo sforzo meccanico, faceva scappare tutti gli animali che in quell’erba alta avevano trovato rifugio: qualche lepre accovacciata alzava le orecchie e sobbalzava via veloce come anche qualche fagiano che attraversava rapidamente la vigna per trovare qualche posto più tranquillo.
L’aria profumava di erba tagliata, e il campo ritornava in ordine.
Ma cos’è il “tarùc”?
Con il termine dialettale “tarùc” viene intesa la trinciatrice (detta anche trinciaerba, trinciasarmenti o trinciastocchi a seconda del vegetale su cui deve lavorare).
Per essere azionato e trasportato questo macchinario deve essere collegato al trattore.
La trinciatrice viene usata alternativamente per favorire la decomposizione dell’erba incolta e dei residui della coltivazione al suolo, attraverso un meccanismo che li tritura finemente, oppure per una raccolta e imballatura dei residui vegetali, se sminuzzati in maniera grossolana.